Il Teatro Incanto riparte da un classico della commedia italiana, “Ditegli sempre di si”, di Eduardo De Filippo. La commedia, riadattata e diretta da Francesco Passafaro, racconta del ritorno a casa di Michele Murri, che, dopo aver trascorso un anno in manicomio, torna a stravolgere la vita dei suoi amici e familiari. Straordinarie le situazioni comiche che si andranno a creare, puntellate dalla fantastica logica del “pazzo”, a volte molto più razionale dei cosiddetti normali. Questo il senso della regia di Passafaro: una commedia basta sulla tolleranza e sulla comprensione reciproca ma in effetti chi sono i pazzi e chi i normali? Il pubblico entusiasta ha decretato il successo dell’ultima commedia della compagnia teatrale, che si è impegnata molto per rendere al meglio l’atmosfera eduardiana inserendo delle piccole innovazione che hanno reso ancor più gradevole tutto lo spettacolo. In scena gli attori Veronica Denisi, Elisa Condello, Roberto Malta, Stefano Perricelli, Francesca Guerra, Michele Grillone, Antonio Paonessa, Rossella Rotella, Patrizia Infusino , Dario Monachello e lo stesso Francesco Passafaro. Luci Sergio Passafaro, audio Francesco Malta, musiche di Rosario Raffaele, direzione di scena Rossella Rotella, scenografia DiMaGrirò Con Pà.ditegli sempre di si
La prossima replica dello spettacolo sarà il 5 Gennaio 2013, sempre al Teatro Incanto, a Parco dei Principi, un posto di cui ci si innamora la prima volta che vi si entra.
Maramenta
martedì 18 dicembre 2012
domenica 25 marzo 2012
Nino Gemelli
Gaetano Gemelli (detto Nino) nasce a Catanzaro, il 24 Marzo
del 1939 in uno dei quartieri del centro storico della città, il Pianicello.
Caratteristica principale di Nino gemelli, cosi come di
molti altri grandi uomini di teatro, è quella di fare tesoro di ogni sua
esperienza, andando a riempire di ricordi e di vita tutto il bagaglio della sua
memoria. Infatti, curioso fin da bambino, figlio di uno dei più conosciuti
panificatori della città, Filippo Gemelli, Nino vive nel quartiere, frequenta
molti personaggi tipici della “ruga” catanzarese, osserva attentamente ogni
evento e lo conserva, lo fa suo.
La giovinezza e l’adolescenza trascorrono serenamente, anche se i tempi sono durissimi
(sono,infatti, gli anni della seconda guerra mondiale). È proprio durante
l’adolescenza che Nino avvicina alla lotta greco romana, disciplina in cui
eccelle e che gli consentirà, nei primi anni della sua attività artistica, di
compiere gesti atletici che renderanno ancora più veritieri i suoi personaggi.
Un’altra attività che caratterizzerà anche il suo Fare
Teatro degli anni a venire è quella lavorativa: svolgeva la funzione di Capo
reparto delle opere civili ed industriali dell’ENEL e fu brillante anche in
questo settore. Non tutti sanno che i vari mixer luci e componenti audio fonici
Nino li costruiva da sé, impiegando diverse giornate e, soprattutto, diverse
nottate.
Si avvicina al teatro quasi per caso, cosi come accadono
molte cose belle nella vita. A lui capitò di dover scrivere, interpretare e
dirigere alcuni “Bozzetti” che poi sarebbero stati messi in scena nel 1974 per
il circolo ricreativo dell’ENEL, di cui era presidente.
A questo seguì l’incontro con uno dei massimi esponenti
culturali della nostra terra, Achille Curcio, il quale esortò Nino a scrivere
una vera e propria commedia e lui decise di scriverla nella propria lingua, il
dialetto catanzarese: com’era solito fare, non volle improvvisarsi e si mise a
studiare accuratamente la lingua di Catanzaro realizzando la sua prima commedia,
“’A scacammi n’atra” . La commedia, basata sulla semplice storia di una
famiglia modesta che s’illude di poter trovare scampo alla miseria con il
matrimonio della figlia, viene immediatamente rappresentata presso una comunità
di calabresi in Svizzera e riscuote grandi successi.
A questa commedia simpatica ma semplicissima dal punto vista
drammaturgico, segue “’A vucca è na ricchizza”, una tra le più conosciute
commedie di Gemelli con una storia modernissima e molto più articolata della
precedente . Anna, figlia sedicenne
di Fortunato, è incinta e non vuole rivelare il nome del padre, causando
scompiglio nella comunità e soprattutto nella famiglia che, dopo momenti di
smarrimenti, crisi e lotte interne, capisce che bisogna rimanere uniti e che se
la gente parla è solo perché “’A vucca è na ricchizza”
Nel frattempo Nino, sempre più uomo di teatro a tutto tondo,
dirige e mette inscena diverse commedie di altri autori, tra cui un’epocale
“Morte e Resurrezione di Cristo” che si ricorda ancora per il bellissimo allestimento
scenico. La cosa non deve sorprendere: Nino infatti, nel 1977, aveva
frequentato un corso teorico pratico di scenotecnica presso l’istituto del
teatro dell’università “Los Angeles City College” di Los Angeles, in
California.
Scrive e mette in scena, inoltre, uno spettacolo di mimica “
Armonia” e un cabaret musical-dialettale “ “E mbùccati chissu” che gli faranno
capire che è tempo di studiare anche come nasce uno spettacolo, come si
convogliano al meglio le idee sulla carta, come si scrive una commedia. Nel
1982, supera le selezioni per frequentare il corso di drammaturgia tenuto dal
più grande di tutti, Eduardo de Filippo, presso l’università “ La Sapienza” di
Roma. Lo stesso Eduardo, dopo appena un anno di corso, lo congeda con onore
dicendogli: “tu, qui, non hai più nulla da imparare.”
Da qui in poi cambia, ed era inevitabile, tutto il suo modo
di fare teatro per la propria città, perché immenso era l’amore che Nino
provava per la sua Catanzaro. Basti sapere che Eduardo, che lo voleva scritturare
per la compagnia di suo figlio Luca, si sentì rispondere di no, perché il suo
sogno,il sogno di Nino Gemelli, era fare teatro nella sua città.
Inoltre, Nino si fece promotore di tantissime iniziative per
la riscoperta e la valorizzazione del dialetto negli istituti scolatici della città di Catanzaro.
Nascono, dunque, le commedie ed i drammi più belli tra cui
“Bongiornu e aguri”, “Setta, ottu, nova e dècia”, “Turuzzu e Luvicia” e, su tutte, “’A porta ‘e l’ortu” un
capolavoro del teatro dialettale, ispirato ed impreziosito dalla lirica “’A
nunna” di Achille Curcio.
Oltre all’attività di scrittore, interprete e regista,
fondamentale importanza ebbe la sua voglia di imparare e di insegnare il
teatro, con la creazione di un laboratorio, il Laboratorio Teatro Azione, che
diede modo a moltissimi attori di calcare per la prima volta le tavole del
palcoscenico, e con la creazione di due piccoli teatri stabili, entrambi a
Viale De Filippis che diedero i Natali a
moltissime compagnie teatrali, vernacolari e non, che ancora oggi
occupano la scena del teatro catanzarese.
Nino ha sempre creduto molto nei giovani e ancor di più nei
bambini: una sezione del Laboratorio era interamente dedicata a loro, scrisse
diverse fiabe, poesie e racconti per bambini, e i ragazzi che
frequentavano il Laboratorio Teatro Azione prima e il Teatro Laboratorio poi,
imparavano, oltre all’arte teatrale, una serie di nozioni e facevano mille
esperienze che sarebbero state poi importantissime per il loro futuro
lavorativo, sempre guidati dal poliedrico Gemelli.
Un vero e proprio punto di riferimento, e per l’attività
drammaturgica (saranno più di quaranta gli scritti tra commedie edite, inedite,
racconti e poesie) e per l’attività teatrale in genere con la creazione e il
mantenimento della prima compagnia teatrale vernacolare e del primo teatro
stabile del dialetto catanzarese.
Ci lascia tante magnifiche parole: quelle che mi piace di
più ricordare sono: “Studia! Più studierai, più lacune saprai di avere”. (Nino
Gemelli)
Francesco Passafaro
sabato 24 marzo 2012
Un populu
Forse la sua, meravigliosa, lirica più famosa è Lingua e dialettu, dove implora i siciliani affinché conservino la propria lingua.
-
Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
-
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.
-
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
-
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
-
Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
-
E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
-
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
-
Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
-
Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
-
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.
.
Ignazio Buttitta
(da Lingua e dialettu, 1970)
martedì 20 marzo 2012
Eh, si ci penzava prima…!!!
Eh, si ci penzava prima…!!!
Cangianu i tempi, signori beddhi.
E assema ad iddhi cangia puru u tempu, ca benadica chjova cchi mancu i cani, tira ventu comu non mai e frana tuttu, cosi mai visti.
Sti cosi capitannu pecchì non si mu preparati, pecchì facimu i cosi all'ammuzzu, pecchì a nui , a ncunu 'e nui, ni piàcia ma ni lamentamu, doppu cchi succedanu i cosi.
L'aviavu mai visti i strati renduciuti 'e sa manera, ca ogni caforchju ci capa n'autotrenu? Eu mai, eppuru...I cosi cangianu,...cangianu!
L'unica cosa cchi non cangia mai simu nui catanzarisi, sempa "pigghjati d'a gola", sempra troppu occupati, sempra gargiuti e pronti ma dicimu 'a nostra, e mai ma si pigghjera na decisiona quando serva. Nui restamu "semper fidelis" a comu eramu na vota. E non c'è nenta cchi ni fa cangiara.
U catanzarisa DOC (Ditteriu d'origina catanzarisa) è chiddhu cchi dicia: "Eh, si cci penzava prima..." "Eh, si mi nd'accorgìa prima..." "Mò ormai è tardu..." "Si cosi s'hannu 'e fara chjanu chjanu..." senza ma s'apprica, poi, ppemma risorva u problema cchi l'angoscia, ppemma fa 'ncuna cosa ma cangia na questiona.
'U problema cchjù importanta, è ppemma potimu parcheggiara subba u corzu, sutta i vitrini d'e negozi, ca si facimu tri passi a peda ni stancamu e non s'accorgia ca Janò si nda sta scindendu "pisola pisola", 'a benzina 'e Piterà sprofondau, e a Lidu...
A la Marina effettivamenta non capitau nenta ancora, ma tantu nui catanzarisi non è ca n'appricamu.
Avimu, a su momentu, nu saccu 'e penzeri pp'a capu, non è ca potimu vidira...
...E poi, si non ni potimu lamentara, cchi cagni 'e catanzarisi simu?
lunedì 19 marzo 2012
MARAMENTA
MARAMENTA...
Mi ricordu na parola curiusa cchi mi dicìa sempa u nunnu meu: iddhu quandu m'avìa 'e cuntara na cosa cchi c'avìa capitatu nt'a jornata, e si l'arricordava all'intrasatta, si 'ncroccava na gamba sutta e una subbra e mi facìa: "Maramenta..."
Sta parola, all'iniziu, non riuscìa m'a capisciu; mi parìa sempa ca u nunnu cuminciava i discurzi ccu na parola tipu " A propositu". Ma non mi sonava giusta.
Quandu capiscetti cchi significava (Mi viene in mente, mi rammento - Maramenta!) m'accorgivi 'e quantu pò essara bella 'a lingua nostra, duva ccu na parola sula, unu pò dira tutta n'espressiona, e pò spiegara tuttu nu penzeri; i paroli sonanu, sù na musica perfetta e nuddhu si nd'ava 'e virgognara.
Doppu nu pocu 'e tempu seppi ca nu regista assai canusciutu, Federico Fellini, ccu 'a stessa parola, precisa identica, sulu ca ccu 'a lingua sua, fìcia nu film cchi vincìu nu saccu 'e premi e financa 'mbentau na parola nova, cchi prima non c'era: "Amarcord" (Io mi ricordo).
Chissu mi vinna a 'mmenta, pecchì ogni tantu sentu genti randi cchi cci dinnu a li picciuliddhi nomma parranu in dialettu, ca è na cosa "tamarra". E quandu cci dici ca non è d'accussi, iddhi ti respundanu ca u fannu nomma i fannu cumpundira quandu parranu in italianu. Ma i figghjoli si vonnu si 'mparanu puru u dialettu, propriu comu quandu parranu na lingua straniera ( ngresa, tedescu, spagnolu!) e senza ma sbagghjanu nenta.
Si n'accorgeramu 'e quanta poesia c'esta nt'a lingua nostra, quanta forza, quanta armonia, forzi 'a fineramu pemma 'a consideramu na cosa strana, e parreramu puru nui guagliuni com'è giustu ca ogni tantu s'ha de fara. Ed ogni tantu puru nui, quandu ni vena a 'mmenta na cosa diceramu: "Maramenta..."
E sulu d'accussi sta lingua non si perda...
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