martedì 18 dicembre 2012

Il Teatro Incanto riparte da un classico della commedia italiana, “Ditegli sempre di si”, di Eduardo De Filippo. La commedia, riadattata e diretta da Francesco Passafaro, racconta del ritorno a casa di Michele Murri, che, dopo aver trascorso un anno in manicomio, torna a stravolgere la vita dei suoi amici e familiari. Straordinarie le situazioni comiche che si andranno a creare, puntellate dalla fantastica logica del “pazzo”, a volte molto più razionale dei cosiddetti normali. Questo il senso della regia di Passafaro: una commedia basta sulla tolleranza e sulla comprensione reciproca ma in effetti chi sono i pazzi e chi i normali? Il pubblico entusiasta ha decretato il successo dell’ultima commedia della compagnia teatrale, che si è impegnata molto per rendere al meglio l’atmosfera eduardiana inserendo delle piccole innovazione che hanno reso ancor più gradevole tutto lo spettacolo. In scena gli attori Veronica Denisi, Elisa Condello, Roberto Malta, Stefano Perricelli, Francesca Guerra, Michele Grillone, Antonio Paonessa, Rossella Rotella, Patrizia Infusino , Dario Monachello e lo stesso Francesco Passafaro. Luci Sergio Passafaro, audio Francesco Malta, musiche di Rosario Raffaele, direzione di scena Rossella Rotella, scenografia DiMaGrirò Con Pà.ditegli sempre di si
La prossima replica dello spettacolo sarà il 5 Gennaio 2013, sempre al Teatro Incanto, a Parco dei Principi, un posto di cui ci si innamora la prima volta che vi si entra.

domenica 25 marzo 2012


Nino Gemelli
Gaetano Gemelli (detto Nino) nasce a Catanzaro, il 24 Marzo del 1939 in uno dei quartieri del centro storico della città, il Pianicello.
Caratteristica principale di Nino gemelli, cosi come di molti altri grandi uomini di teatro, è quella di fare tesoro di ogni sua esperienza, andando a riempire di ricordi e di vita tutto il bagaglio della sua memoria. Infatti, curioso fin da bambino, figlio di uno dei più conosciuti panificatori della città, Filippo Gemelli, Nino vive nel quartiere, frequenta molti personaggi tipici della “ruga” catanzarese, osserva attentamente ogni evento e lo conserva, lo fa suo.

La giovinezza e l’adolescenza trascorrono serenamente,  anche se i tempi sono durissimi (sono,infatti, gli anni della seconda guerra mondiale). È proprio durante l’adolescenza che Nino avvicina alla lotta greco romana, disciplina in cui eccelle e che gli consentirà, nei primi anni della sua attività artistica, di compiere gesti atletici che renderanno ancora più veritieri i suoi personaggi.

Un’altra attività che caratterizzerà anche il suo Fare Teatro degli anni a venire è quella lavorativa: svolgeva la funzione di Capo reparto delle opere civili ed industriali dell’ENEL e fu brillante anche in questo settore. Non tutti sanno che i vari mixer luci e componenti audio fonici Nino li costruiva da sé, impiegando diverse giornate e, soprattutto, diverse nottate.
Si avvicina al teatro quasi per caso, cosi come accadono molte cose belle nella vita. A lui capitò di dover scrivere, interpretare e dirigere alcuni “Bozzetti” che poi sarebbero stati messi in scena nel 1974 per il circolo ricreativo dell’ENEL, di cui era presidente.
A questo seguì l’incontro con uno dei massimi esponenti culturali della nostra terra, Achille Curcio, il quale esortò Nino a scrivere una vera e propria commedia e lui decise di scriverla nella propria lingua, il dialetto catanzarese: com’era solito fare, non volle improvvisarsi e si mise a studiare accuratamente la lingua di Catanzaro realizzando la sua prima commedia, “’A scacammi n’atra” . La commedia, basata sulla semplice storia di una famiglia modesta che s’illude di poter trovare scampo alla miseria con il matrimonio della figlia, viene immediatamente rappresentata presso una comunità di calabresi in Svizzera e riscuote grandi successi.

A questa commedia simpatica ma semplicissima dal punto vista drammaturgico, segue “’A vucca è na ricchizza”, una tra le più conosciute commedie di Gemelli con una storia modernissima e molto più articolata della precedente . Anna, figlia sedicenne  di Fortunato, è incinta e non vuole rivelare il nome del padre, causando scompiglio nella comunità e soprattutto nella famiglia che, dopo momenti di smarrimenti, crisi e lotte interne, capisce che bisogna rimanere uniti e che se la gente parla è solo perché “’A vucca è na ricchizza”
Nel frattempo Nino, sempre più uomo di teatro a tutto tondo, dirige e mette inscena diverse commedie di altri autori, tra cui un’epocale “Morte e Resurrezione di Cristo” che si ricorda ancora per il bellissimo allestimento scenico. La cosa non deve sorprendere: Nino infatti, nel 1977, aveva frequentato un corso teorico pratico di scenotecnica presso l’istituto del teatro dell’università “Los Angeles City College” di Los Angeles, in California.
Scrive e mette in scena, inoltre, uno spettacolo di mimica “ Armonia” e un cabaret musical-dialettale “ “E mbùccati chissu” che gli faranno capire che è tempo di studiare anche come nasce uno spettacolo, come si convogliano al meglio le idee sulla carta, come si scrive una commedia. Nel 1982, supera le selezioni per frequentare il corso di drammaturgia tenuto dal più grande di tutti, Eduardo de Filippo, presso l’università “ La Sapienza” di Roma. Lo stesso Eduardo, dopo appena un anno di corso, lo congeda con onore dicendogli: “tu, qui, non hai più nulla da imparare.”
Da qui in poi cambia, ed era inevitabile, tutto il suo modo di fare teatro per la propria città, perché immenso era l’amore che Nino provava per la sua Catanzaro. Basti sapere che Eduardo, che lo voleva scritturare per la compagnia di suo figlio Luca, si sentì rispondere di no, perché il suo sogno,il sogno di Nino Gemelli, era fare teatro nella sua città.
Inoltre, Nino si fece promotore di tantissime iniziative per la riscoperta e la valorizzazione del dialetto  negli istituti scolatici della città di Catanzaro.
Nascono, dunque, le commedie ed i drammi più belli tra cui “Bongiornu e aguri”, “Setta, ottu, nova e dècia”,  “Turuzzu e Luvicia” e, su tutte, “’A porta ‘e l’ortu” un capolavoro del teatro dialettale, ispirato ed impreziosito dalla lirica “’A nunna” di Achille Curcio.
Oltre all’attività di scrittore, interprete e regista, fondamentale importanza ebbe la sua voglia di imparare e di insegnare il teatro, con la creazione di un laboratorio, il Laboratorio Teatro Azione, che diede modo a moltissimi attori di calcare per la prima volta le tavole del palcoscenico, e con la creazione di due piccoli teatri stabili, entrambi a Viale De Filippis che diedero i Natali a  moltissime compagnie teatrali, vernacolari e non, che ancora oggi occupano la scena del teatro catanzarese.

Nino ha sempre creduto molto nei giovani e ancor di più nei bambini: una sezione del Laboratorio era interamente dedicata a loro, scrisse diverse fiabe, poesie e racconti per bambini,  e  i ragazzi che frequentavano il Laboratorio Teatro Azione prima e il Teatro Laboratorio poi, imparavano, oltre all’arte teatrale, una serie di nozioni e facevano mille esperienze che sarebbero state poi importantissime per il loro futuro lavorativo, sempre guidati dal poliedrico Gemelli.

Un vero e proprio punto di riferimento, e per l’attività drammaturgica (saranno più di quaranta gli scritti tra commedie edite, inedite, racconti e poesie) e per l’attività teatrale in genere con la creazione e il mantenimento della prima compagnia teatrale vernacolare e del primo teatro stabile del dialetto catanzarese.

Ci lascia tante magnifiche parole: quelle che mi piace di più ricordare sono: “Studia! Più studierai, più lacune saprai di avere”. (Nino Gemelli)

Francesco Passafaro

sabato 24 marzo 2012


Un populu

Forse la sua, meravigliosa, lirica più famosa è Lingua e dialettudove implora i siciliani affinché conservino la propria lingua.

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Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
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Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.
-
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
-
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
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Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
-
E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
-
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
-
Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
-
Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
-
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.
.
Ignazio Buttitta
(da Lingua e dialettu, 1970)

martedì 20 marzo 2012

Eh, si ci penzava prima…!!!

Eh, si ci penzava prima…!!!


Cangianu i tempi, signori beddhi.
E assema ad iddhi cangia puru u tempu, ca benadica chjova cchi mancu i cani, tira ventu comu non mai e frana tuttu, cosi mai visti.
Sti cosi capitannu pecchì non si mu preparati, pecchì facimu i cosi all'ammuzzu,  pecchì a nui , a ncunu 'e nui, ni piàcia ma ni lamentamu, doppu cchi succedanu i cosi.
L'aviavu mai visti i strati renduciuti 'e sa manera, ca ogni caforchju ci capa n'autotrenu? Eu mai, eppuru...I cosi cangianu,...cangianu!
L'unica cosa cchi non cangia mai simu nui catanzarisi, sempa "pigghjati d'a gola", sempra troppu occupati, sempra gargiuti e pronti ma dicimu 'a nostra, e mai ma si pigghjera na decisiona quando serva. Nui restamu "semper fidelis" a comu eramu na vota. E non c'è nenta cchi ni fa cangiara.
U catanzarisa DOC (Ditteriu d'origina catanzarisa) è chiddhu cchi dicia: "Eh, si cci penzava prima..."  "Eh, si mi nd'accorgìa prima..." "Mò ormai è tardu..." "Si cosi s'hannu 'e fara chjanu chjanu..." senza ma s'apprica, poi, ppemma risorva u problema cchi l'angoscia, ppemma fa 'ncuna cosa ma cangia na questiona.
'U problema cchjù importanta,  è ppemma potimu  parcheggiara subba u corzu, sutta i vitrini d'e negozi, ca si facimu  tri passi a peda ni stancamu  e non s'accorgia ca Janò si nda sta scindendu "pisola pisola", 'a benzina 'e Piterà sprofondau, e a Lidu...
A la Marina effettivamenta non capitau nenta ancora, ma tantu nui catanzarisi non è ca n'appricamu.
Avimu, a su momentu, nu saccu 'e penzeri pp'a capu, non è ca potimu vidira...
...E poi, si non ni potimu lamentara, cchi cagni 'e  catanzarisi simu?

lunedì 19 marzo 2012

MARAMENTA

MARAMENTA...
Mi ricordu na parola curiusa cchi mi dicìa sempa u nunnu meu: iddhu quandu m'avìa 'e cuntara na cosa cchi c'avìa capitatu nt'a jornata, e si l'arricordava all'intrasatta, si 'ncroccava na gamba sutta e una subbra e mi facìa:  "Maramenta..."
Sta parola, all'iniziu, non riuscìa m'a capisciu; mi parìa sempa ca u nunnu cuminciava i discurzi ccu na parola tipu " A propositu". Ma non mi sonava giusta.
Quandu capiscetti cchi significava (Mi viene in mente, mi rammento - Maramenta!) m'accorgivi 'e quantu pò essara bella 'a lingua nostra, duva ccu na parola sula, unu pò dira tutta n'espressiona, e pò spiegara tuttu nu penzeri; i paroli sonanu, sù na musica perfetta e nuddhu si nd'ava 'e virgognara.
Doppu nu pocu 'e tempu seppi ca nu regista assai canusciutu, Federico Fellini, ccu 'a stessa parola, precisa identica, sulu ca ccu 'a lingua sua, fìcia nu film cchi vincìu nu saccu 'e premi e financa 'mbentau na parola nova, cchi prima non c'era: "Amarcord" (Io mi ricordo).
Chissu mi vinna a 'mmenta, pecchì ogni tantu sentu genti randi cchi cci dinnu a li picciuliddhi nomma parranu in dialettu, ca è na cosa "tamarra". E quandu cci dici ca non è d'accussi, iddhi ti respundanu ca u fannu nomma i fannu cumpundira quandu parranu in italianu. Ma i figghjoli si vonnu si 'mparanu puru u dialettu, propriu comu quandu parranu na lingua straniera ( ngresa, tedescu, spagnolu!) e senza ma sbagghjanu nenta.
Si n'accorgeramu 'e quanta poesia c'esta nt'a lingua nostra, quanta forza, quanta armonia, forzi 'a fineramu pemma 'a consideramu  na cosa strana, e parreramu puru nui guagliuni com'è giustu ca ogni tantu s'ha de fara. Ed ogni tantu puru nui, quandu ni vena a 'mmenta na cosa diceramu: "Maramenta..."
E sulu d'accussi sta lingua non si perda...